E-commerce/ Armonizzazione delle normative: questa la parola d’ordine


E-commerce/ Armonizzazione delle normative: questa la parola d’ordine
di Luca-M de Grazia
E-COMMERCE
pubblicato su CWW – 04/11/1999


Nei giorni 29 e 30 ottobre si è tenuto presso l’Università di Camerino un convegno giuridico sul c.d. “commercio elettronico”, che è stato sviscerato da vari punti di vista, anche se in linea più teorica che pratica (http://camcic.unicam.it/ssdici/convegno_ott.html#inforelaz).
Tra i vari problemi che sono stati enucleati, probabilmente ai più è sfuggito quello, estremamente pratico, della necessità (peraltro contemplata dalla Direttiva UE sul commercio elettronico nonché da quella forse ancora più importante sulla firma digitale) della armonizzazione delle regole delle leggi attualmente vigenti in Italia con la normativa internazionale.
Infatti, poiché una volta tanto il legislatore italiano è stato il primo a promulgare una legge (DPR 513/97 e il DPCM 08.02.99 sulle c.d. regole tecniche), l’operatore commerciale ed insieme a lui l’avvocato che voglia esaminare la questione da un punto di vista pratico, si trova in un “impasse” difficile da risolvere alla luce della normativa italiana.
Cerco di spiegarmi con parole semplici, riservandomi magari di approfondire l’argomento in altra sede ovvero con altri articoli che potranno seguire.

Nel diritto italiano vige la regola generale della assoluta libertà della forma del contratto, e quindi – salvo ipotesi specifiche – in linea di massima praticamente moltissimi contratti sono validi anche se stipulati oralmente, con quella che i nostri nonni chiamavano la “stretta di mano”.
Quindi il contratto è valido, vincola le parti, ma in caso di lite il vero problema è quello di “dimostrare” al giudice quali fossero gli accordi, ed è per questo motivo che la maggior parte dei contratti si stipulano adesso in forma scritta, superando in questo modo almeno i problemi che concernono gli accordi tra le parti.
Ovviamente tutto ciò si riflette sul commercio elettronico, ovvero sui quei contratti che vengono stipulati via web riempiendo formulari ed immettendo spesso il numero della propria carta di credito; ovviamente i veri problemi si accentrano su tali fattispecie, in quanto se la pagina web è soltanto una vetrina ed i contatti seguono i mezzi tradizionali, il problema non si pone.
Fermo restando che se tutte le parti in gioco si comportassero sempre lealmente non vi sarebbe alcun problema, rimane il fatto che, purtroppo, non sempre è così, e quindi occorre pensare anche alla c.d. “patologia”, e quindi all’ipotesi che una delle due parti non voglia adempiere alle proprie obbligazioni.
E qui vengono fuori quelle che – a mio personale parere – sono le incongruenze della legge; infatti in pratica due soggetti possono tranquillamente mettersi d’accordo nell’inviarsi corrispondenza commerciale tramite e-mail cifrate e sottoscritte con PGP, (e quindi con un livello di sicurezza e di non ripudiabilità del contenuto della mail estremamente elevato) ma queste e-mail non potrebbero essere portate innanzi ad un giudice se non dopo essere state stampate.
Però in questo modo (e-mail stampata) non sarebbe possibile esperire i rimedi posti in essere dal codice di procedura civile qualora una delle due parti disconosca la paternità del documento; quindi il valore della e-mail sarebbe addirittura inferiore a quello di un fax, pur essendo la stessa e-mail, nella sua forma elettronica – digitale, molto più “valida” dello stesso fax.
Infatti soltanto le comunicazioni che rispetteranno le norme poste dalle leggi sopra richiamate avranno il valore di “scrittura privata” ai sensi del codice civile; ma, d’altra parte, le regole imposte da tali norme sono estremamente pesanti e mal si attagliano alla snellezza delle transazioni via internet.

Il problema viene ulteriormente complicato dalla legge sulla “privacy” (n.675/96) che pone seri problemi circa la dimostrazione da parte del venditore di aver ottenuto il consenso al trattamento dei dati, per gli stessi motivi di cui ho appena parlato, nonché, soprattutto, dal raccordo della nostra normativa con quella internazionale.
E’ del tutto evidente che essendo Internet per definizione un mercato globale, ha veramente poco senso dettare delle norme che si applichino solo al territorio nazionale; tra l’altro un effetto indotto e del tutto pernicioso sarebbe quello della non concorrenzialità del nostro “sistema paese”, in quanto costretto a confrontarsi con norme più restrittive che portano sì a maggiore sicurezza generale, ma che portano anche costi aggiuntivi che mal si conciliano con economie di scala.
Ed è proprio su questo punto che dovranno appuntarsi gli sforzi di armonizzazione delle legislazioni, affinché si possa tranquillamente rispondere all’eventuale soggetto che reclami giustizia “Quale legge applichiamo ed a quale giudice ci dobbiamo rivolgere?”

http://www.interlex.com/testi/com427d.htm

Luca-M de Grazia

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